La Liguria e l’avventura nel romanzo di Marino Magliani. Finalisti Premio Strega

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7 Giugno 2022

Marino Magliani – Il cannocchiale del tenente Dumont – L’Orma Roma 2021

Ad apertura del testo, quando si dovrebbe saldare il patto narrativo tra chi scrive e chi legge, le informazioni di impaesamento al lettore circa l’avvio della narrazione e dei suoi principali protagonisti vengono date in maniera sommaria e reticente. Evidentemente per invogliare alla lettura. I personaggi vengono immersi in medias res, e nelle prime battute non si capisce davvero chi dice cosa a chi, e che cosa dice. L’autore fa aggio sulla pazienza dei lettori – e di quel lettore particolarmente volenteroso che è il recensore che altrimenti non riuscirebbe a cavare un ragno dal buco – che decidono comunque di procedere alla cieca, sperando in un barlume chiarificatore più avanti. Che arriva, spesso tardi e in maniera pleonastica, rispetto a tratti di vicenda già narrati per fatti concludenti, e arriva, sotto forma di un macchinoso impianto redazionale, per mezzo di una “fonte” non meglio definita nel corso della narrazione (forse per giocare col manoscritto alla Promessi sposi) anche se in esordio viene detto che è lo stesso Dumont (ma chi se lo ricorda), cui si aggiungono successivi rapporti, lettere e note del medico olandese Johan Cornelius Zomer e del suo informatore Victor Pangloss, che dovrebbero ad un tempo chiarire, su ingiunzione di Bonaparte, le ragioni della diserzione nonché il plot in sé tenendolo “in tensione”.

Si tratta di mettersi sulle tracce dei tre disertori dunque, perché della diserzione dall’esercito napoleonico di due ufficiali francesi – il tenente Gerard Henri Dumont e il capitano Jean Philippe Marie Lemoine – e di un soldato chasseur basco si narra. Lo stesso autore ammette implicitamente, a quasi a metà dell’opera, che le informazioni “di servizio” (da lui assegnate a quei narratori impliciti) arrivano «con infinito ritardo e fornendomi notizie risapute». A lui, che ha architettato tutto, figurarsi a chi legge accidenti. Ma evidentemente egli ha preferito arpeggiare liricamente fino a quel momento sulla sua Liguria trascurando in parte l’aspetto elementare, redazionale, dell’intrigo, visto che a tutta prima un romanzo d’avventura seppur sui generis ha voluto intramare.

Ma c’è forse una ragione più intrinseca e più insinuante in queste scelte redazionali di una programmatica vaghezza e oscurità. Ed è quella introdotta da Umberto Eco in un capitolo di Opera aperta. Vediamo. Nel romanzo che stiamo leggendo, nei primi capitoli, abbiamo uno sciame di termini oscuri, tecnici, o senza agganci espliciti col racconto, i quali hanno la funzione di termini-talismano: Maryut, kandura, sciaccò, chasseur, Charleville che sarà sostituito dal Saint-Étienne, occhio di cubia, drizze, l’assalto di Akkô (Acri sarebbe stato meno suggestivo?) Jaffa, Abukir, hascisc e… i savant che tornano e ritornano e non si sa chi siano, salvo che «non si mischiano coi militari né con la truppa», tranne che hanno i «polpacci scarni che barcollano e vomitano in acqua», forse degli indigeni. Savant non meglio definiti a bella posta… al fine di alimentare sintomatico mistero? Ecco: i savant? Ma chi sono, e perché vengono chiamati così? Enigma.

Vediamolo allora questo brano di Opera aperta di Umberto Eco, da Alessandria in Piemonte, la città attaccata a Marengo della celebre battaglia napoleonica da cui si diparte un buon tratto di questa cronaca con al centro il tenente Dumont e il suo cannocchiale col quale scruta i dintorni nel corso della fuga-diserzione. Vediamo se ci può aiutare a interpretare questo romanzo.

Scrive Eco:

«”Quell’uomo viene da Bassora, attraverso Bisha e Dam, Shibam, Tarib e Hofuf. Anaise e Buraida, Medina e Khaibar su per il corso dell’Eufrate sino ad Aleppo”; ecco un modo di reiterazione dell’effetto, compiuto con mezzi alquanto primitivi, capaci tuttavia di complicare con suggestioni foniche la imprecisione delle referenze, materiando la reazione fantastica attraverso un fatto auditivo. Il fatto di sostenere il riferimento impreciso e il richiamo mnemonico con un appello piú diretto alla sensibilità attraverso l’artifizio fonetico, ci porta indubbiamente ai limiti di una operazione comunicativa particolare che potremmo indicare, sia pure in senso lato, come “estetica”».

Capito? Reiterazione dell’effetto, imprecisione delle referenze, fatti uditivi, suggestioni foniche… C’è tutto questo e di più nel nostro romanzo. Il registro prescelto da Magliani è proprio questo: avventuroso e suggestivo. È un romanzo sotto effetto di una continua suggestione orientata, così Eco intitola il suo capitoletto. “Della suggestione orientata”. Proprio.

Il nostro terzetto diserta dopo Marengo (14 giugno 1800) ed è diretto a Porto Maurizio (attuale Imperia) mai comunicando con nessuno. Si rifugia sui monti e lungo i torrenti della Liguria dove sopravvive nutrendosi di erbe, frutta e asparagi. E consumando dell’hascisc portato con sé dal vicino Oriente a seguito della spedizione napoleonica in Egitto.

C’è dunque di mezzo l’hascisc, e una suggestione orientata all’avventura. Un invito all’evasione anzi o forse una doppia Evasione: dai reggimenti? Dai regimi? Ma anche ci si chiede sommessamente: quale avventura? Ed evasione da che, da chi? Oggi in cui tutto è dato a tutti? Quando con un clic il mondo ti si squienterna davanti? Oggi in cui l’immaginario non ha più zone erogene geografiche, ma solo mentali, anzi virtuali, annegate, sciolte, liquefatte nel silicio del web. Ebbene, nella pienezza dei tempi in cui siamo tutti fachirizzati dalle sensazioni più inaudite senza aver toccato in goccio di acido psichedelico, ci viene offerto uno scenario storico (rinasco, rinasco nel 1799) e geografico come fossimo nell’Alessandria nebbiosa di Umberto Eco degli anni Trenta, in un’epoca di primi fumetti e di storie esotiche subalpine di quell’Eco ammaliato dalla regina di Loana e dalla semplice frase «Quell’uomo viene da Bassora», che già esultava, godeva? E poi, quale proposta di avventura a noi filistei col mitico e biblico Mar Rosso trasformato da un Preatoni Ernesto in spiaggia di casa a quattro ore di volo?
Il lettore di questo libro vivrà e vedrà, e godrà se vorrà.

La prosa è asciutta, scabra, rude con punte di calcolata reticenza (forse per favorire enigma e suggestivo mistero?). Qualche carotaggio.«Il giorno è attesa, sostanzialmente si spera che non appaia nulla, neanche la più innocua delle barchette a remi; l’aria geme e si riempie di frustate, le onde alte, scie di schiuma»… «In battaglia non ricordi, nei rimbombi senti i giorni, gli odori della terra, i frammenti delle parole». Nei momenti di stasi dell’avventura – la fuga, la diserzione tra monti e frontiera (la Repubblica di Genova agli sgoccioli) – lo scrittore prende il pennello e si abbandona a questi quadri di smozzicato lirismo: «Nella gabbia azzurra [si tratta del cielo] volteggiano due poiane, l’alba è uscita da una rupe rossa di scaglie e argilla, il giorno rilascia i soliti voli di farfalle bianche, prende una confidenza, fino ad assorbire la patina di rugiada, e lentamente nel cannocchiale la valle si scuoia come una biscia»… «C’è un senso di resa nell’aria; sulle foglie e le cortecce e la terra, sulle pietre, del giorno non resta che un lamento»… «Corazze di arenaria, lungo la mulattiera, una dopo l’altra si riducono le sporgenze al sole, la resa dei merli è la sinfonia finale, l’immersione della vita nei dormitori e le ultime grida celesti delle rondini, un odore di torrente».

Che dire: prosa poetica. Siamo nella terra di Boine, Sbarbaro, Montale. Mille volte chapeau. Slarghi lirici, versi puri e infrattati nelle pieghe della prosa che dovrebbe essere narrativa ma che esala appena può tutto il pampsichismo della natura ligure. Ma c’è un momento in cui la suggestione orientata di cui parla Eco si volge a esperimento parolibero o a vero e proprio qualunquismo del significante, come qui:

«Le gomene conservano un odore marcio di cadaveri di crostacei, una dose leggera, appena un cucchiaio, la riserva deve durare almeno fino al nuovo secolo, dice sempre il capitano». Testuale.

L’andirivieni tra lo scrittore e il pittore suggerisce anche un ut pictura poesis da impressionista intenzionale e impostato per programma nonostante l’apparente nonchalance del dettato.

La fuga dei napoleonici militi è pretesto per una ricognizione visiva e trasognata della terra madre. La scagliosa Liguria. Si sente il poeta in agguato dietro l’occasionalità apparente delle descrizioni: «non importa se il mare non appare, in Liguria c’è lo stesso, dappertutto, è incollato alle foglie delle palme, alle pietre…»

L’alternanza di tratti narrativi e lirici fanno lo specifico tessuto di quest’opera, avvolta in quella suggestione orientata di cui si diceva. E di fronte a questa procedura insistente, pervasiva – una sorta di cuticola che avvolge tutto il manufatto letterario – il vostro lettore delegato alla “recinzione” (recingere un testo con un altro testo) è assalito dalla domanda di un autore di queste parti, il ligure Montale, non in veste di poeta ma dello straordinario lettore e recensore eccelso del Secondo mestiere, allorché si interrogava mentre frantumava migliaia di pagine di libri da recensire:

«Leggete e vi chiedete: perdo il mio tempo o sto appropriandomi d’un nuovo patrimonio che sarà mio per sempre? La noia che provo è quella dei grandi capolavori o soltanto quella dei libri inutili?».

Montale non scioglie il quesito. E noi con lui.

***

Finalisti PREMIO STREGA 2022
A fianco di ogni libro troverete il link alla sua recinzione (recingere con un testo un altro testo) su questa rivista man mano che pubblicherò le recinzioni dei 12 romanzi finalisti.

I finalisti sono:

1. Marco Amerighi con “Randagi” (ed. Bollati Boringhieri), presentato da Silvia Ballestra. urly.it/3ny2q

2. Fabio Bacà con “Nova” (ed. Adelphi), presentato da Diego De Silva. urly.it/3nypf

3. Alessandro Bertante con “Mordi e fuggi” (ed. Baldini+Castoldi), presentato da Luca Doninelli. urly.it/3nvnf

4. Alessandra Carati con “E poi saremo salvi” (ed. Mondadori), presentato da Andrea Vitali. urly.it/3p5zh

5. Mario Desiati con “Spatriati” (ed. Einaudi), presentato da Alessandro Piperno. urly.it/3nv-j

6. Veronica Galletta con “Nina sull’argine” (ed. minimum fax), presentato da Gianluca Lioni. urly.it/3p89p

7. Jana Karšaiová  con “Divorzio di velluto” (ed. Feltrinelli), presentato da Gad Lerner. urly.it/3nx4h

8. Marino Magliani con “Il cannocchiale del tenente Dumont” (ed. L’Orma), presentato da Giuseppe Conte. urly.it/3n-nv

9. Davide Orecchio con “Storia aperta” (ed. Bompiani), presentato da Martina Testa. urly.it/3p34g

10. Claudio Piersanti con “Quel maledetto Vronskij” (ed. Rizzoli), presentato da Renata Colorni. urly.it/3nzhn

11.Veronica Raimo con “Niente di vero” (ed. Einaudi), presentato da Domenico Procacci. urly.it/3nsnm

12. Daniela Ranieri con “Stradario aggiornato di tutti i miei baci” (ed. Ponte alle Grazie), presentato da Loredana Lipperini. urly.it/3nrz8

 

TAG: avventura, Campagne napoleoniche, Finalisti Premio Strega 2022, liguria, Marengo, Marino Magliani, Umberto Eco
CAT: Letteratura

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